Uccise Barbara: 8 anni all’autista
Maxi-condanna ieri in tribunale per il brasiliano 41enne Evandro Gonsalves Galhardo, che si schiantò ubriaco
Era al volante di una “Uno” con un’alcolemia che sfiorava il 3 e trasportava l’amica 42enne bellunese che è deceduta sul colpo
Otto anni di reclusione. Maxi condanna ieri, in tribunale a Belluno, per Evandro Gonsalves Galhardo, 41enne originario del Brasile, che il 19 dicembre 2017 si schiantò con l’auto contro un platano di via Vittorio Veneto, a Belluno, provocando la morte dell’amica Barbara Durastante seduta accanto a lui. A distanza di quasi tre anni la famiglia della donna ha potuto finalmente ottenere giustizia. «Purtroppo nessuno potrà mai restituirci Barbara – ha commentato ieri pomeriggio, in lacrime, il padre Roberto – Ammetto che, all’inizio, avevo perso lo fiducia, ma oggi posso dire che giustizia è stata fatta!».
LE AGGRAVANTI. La condanna, pesante come un macigno, ha potuto raggiungere gli otto anni di carcere perché il brasiliano guidava ubriaco. Il suo tasso alcolico aveva sfiorato i 3 grammi di alcol per litro di sangue nella prima misurazione e si era fermato a 2,89 nella seconda. Un’aggravante che ha fatto lievitare la pena prevista per l’omicidio colposo stradale che normalmente va dai due ai sette anni. Ma in caso di ebbrezza alcolica parte dagli otto anni di carcere e può arrivare fino a dodici. Il pm Sandra Rossi, nella sua requisitoria, ne aveva chiesti otto e mezzo.
IMPUTATO FANTASMA. In ogni caso rimane una giustizia “a metà” perché Evandro Gonsalves Galhardo risulta irreperibile. Dopo lo schianto mortale di quasi tre anni fa venne ricoverato in ospedale a Belluno e poi trovò il modo di andarsene dall’Italia. Gli inquirenti che si erano messi sulle sue tracce hanno spiegato che l’uomo poteva essere fuggito in Brasile a curarsi, ma è solo un’ipotesi. L’unica certezza è che, probabilmente, non farà mai più ritorno in Italia. «Andava piantonato in ospedale» ha detto con rabbia il papà di Barbara, ieri, Roberto Durastante. E’ l’unico elemento che, di fatto, riapre le ferite non ancora rimarginate dalla famiglia di Barbara. «Non avrebbe dovuto lasciare il nostro paese così liberamente – ha concluso il padre – Temo che la condanna non la sconterà mai». L’incidente mortale avvenne la sera del 19 dicembre 2017. I due amici stavano andando verso Ponte nelle Alpi ma, superato il bar Mendoza, l’auto finì contro un platano e Barbara Durastante morì.
LA PERIZIA. Il processo sarebbe dovuto finire ancora a marzo, ma l’avvocato della difesa Ferruccio Rovelli aveva chiesto al giudice di nominare un perito per capire se la cintura allacciata avrebbe permesso alla donna di salvarsi e tutto è stato congelato. «L’utilizzo della cintura non l’avrebbe tutelata», ha spiegato ieri pomeriggio, in aula a Belluno, il perito del giudice. L’auto, «abbastanza attempata», sfrecciava a 60 chilometri orari. «L’accelerazione a cui era sottoposto il corpo – ha chiarito poco dopo – non avrebbe permesso conseguenze diverse. Certo, avrebbe riportato delle ferite minori alle gambe, ma non al tronco e alla testa». A provocare la morte di Barbara Durastante, secondo il perito, sarebbe stata la ferita sul capo causata dal montante destro dell’auto su cui si trovò a sbattere durante l’incidente. Cintura di sicurezza o meno, quel colpo mortale l’avrebbe preso lo stesso.
LA DIFESA. La difesa ha provato a smontare questa tesi spiegando che «il montante dell’auto, come di evince dalle foto, non si è deformato verso l’interno. Barbara deve aver sbattuto la testa da altre parti e questo non sarebbe successo se avesse avuto la cintura di sicurezza allacciata. Così, invece. L’impatto è stato il 90% più forte sul corpo e il 70% sul capo». Per questi motivi l’avvocato ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito o la riformulazione del reato in “lesioni stradali colpose”.
LA CONDANNA. Il giudice Angela Feletto, però, aveva le idee chiare e dopo una decina di minuti è uscita con la sentenza di condanna: otto anni di reclusione. Tra 30 giorni si conosceranno le motivazioni. Si tratta di una condanno di primo grado, quindi non definitiva. Inoltre potrà finalmente proseguire il capitolo in ambito civile in cui la famiglia è seguita da Giesse Risarcimento Danni. «Il fatto era gravissimo – ha fatto sapere il responsabile Gennaro Pisacane – Ci aspettavamo e auspicavamo una condanna esemplare che tenesse contro della condotta del tutto irresponsabile tenuta dal conducente dell’auto. Siamo pienamente fiduciosi che quanto accertato in sede penale, grazie alle perizie disposte, agevolerà ora i giudici anche nella parallela causa civile già instaurata presso il tribunale di Milano».
Leggi l’articolo dell’11 settembre 2020 sul sito de “Il Gazzettino” di Belluno
Schianto da ubriaco in via Vittorio Veneto. Condanna a 8 anni per omicidio stradale
Emessa la sentenza per la morte di Barbara Durastante
Il brasiliano Gonsalves irreperibile da anni. Patente revocata
Le cinture non avrebbero salvato Barbara. Evandro Galhardo Gonsalves è stato condannato a o otto anni e alla revoca della patente per omicidio stradale in stato di ebbrezza. Il 41enne brasiliano, che viveva in provincia e dal 26 giugno di due anni fa si è reso irreperibile, è stato ritenuto colpevole della morte di Barbara Durastante, la donna che la sera del 17 dicembre era seduta al suo fianco, a bordo della Fiat Uno finita contro un platano di via Vittorio Veneto.
La condanna servirà a chiudere la causa civile per il risarcimento promossa contro Vittoria assicurazioni da Giesse, davanti al Tribunale di Milano. Nell’udienza a palazzo di giustizia del 28 novembre dello scorso anno, il pm Tricoli aveva chiesto otto anni e sei mesi, mentre per il difensore Rovelli ci sarebbe voluta un’ultima perizia, perché né l’imputato né la 42enne optometrista avevano allacciato le cinture di sicurezza, un dispositivo che a suo dire avrebbe potuto salvare la vita della donna, anche perché lo schianto avvenne a una velocità tra i 60 e gli 80 chilometri orari.
Il consulente Di Noto aveva depositato la sua perizia lo scorso 4 marzo e ieri pomeriggio l’ha illustrata anche al giudice Feletto. Secondo lo specialista, Barbara Durastante sarebbe sicuramente morta anche con le cinture allacciate. Fatale il trauma cranico sofferto nell’impatto con quello che si chiama montante destro dell’utilitaria. Magari sarebbero state meno gravi le lesioni alle gambe e al resto del corpo, ma non si sarebbe salvata lo stesso. Inutili tutti i tentativi di Rovelli di trovare punti deboli nella perizia.
Il consulente della Procura, Zamuner aveva sottolineato che l’auto non presentava difetti o anomalie tali da collegare l’incidente a un guasto. Lo sterzo funzionava e i pneumatici erano in buone condizioni. A parere dello stesso perito, l’andatura della Uno che procedeva a zig zag e con continue frenate e accelerate, segnalate dai testimoni, si spiega con l’elevato tasso alcolemico rilevato poi nel sangue dell’imputato: 2,89 grammi di alcol per litro di sangue, quasi sei volte il valore massimo consentito.
Secondo la ricostruzione fatta nell’immediatezza dei fatti, verso le 21 la macchina a bordo della quale viaggiavano in due si stava dirigendo verso Ponte nelle Alpi, partita all’altezza del bar
Belluno, in fondo a via Simon da Cusighe. Aveva da poco passato il centro commerciale Millenium quando, poco oltre il bar Mendoza, l’auto è uscita autonomamente di strada. Ha travolto i cartelli stradali che si trovavano a destra, subito dopo il semaforo a chiamata delle strisce pedonali e si è poi schiantata contro l’albero davanti al negozio Original Marines. Quello che dal giorno dopo ha sul tronco una fotografia della donna. Un impatto così forte da sradicare la portiera sul lato passeggero. Dopo aver girato più volte su sè stessa, l’auto sì è fermata di traverso sulla carreggiata.
Nella nuova discussione, il pm d’udienza Rossi ha confermato la richiesta presentata lo scorso inverno, mentre Rovelli ha insistito con l’assoluzione con la formula più congrua, anche per insufficienza di prove, in subordine alla derubricazione del reato in lesioni stradali colpose. Il giudice Feletto ha condannato a otto anni e la revoca della patente. Ma non si sa dove sia Evandro Galhardo Gonsalves: «Barbara, purtroppo, nessuno mai me la riporterà», commenta in lacrime papà Roberto Durastante «all’inizio ammetto di aver perso fiducia: quell’uomo andava piantonato in ospedale, non avrebbe dovuto poter lasciare il nostro Paese. Di fatto temo che la condanna non la sconterà mai. Però posso dire che giustizia è stata comunque fatta, la condanna è esemplare e per questo ringrazio il tribunale».
Leggi l’articolo dell’11 settembre 2020 sul sito de “Il corriere delle Alpi”