Il crollo del Ponte Morandi, l’intervista

Il crollo del Ponte Morandi, l’intervista

La Signora F. ha perso il compagno nel tragico crollo del Ponte Morandi avvenuto il 14 agosto 2018. A distanza di un anno ecco l’intervista nel nostro magazine “Il Risarcimento”. 

14 agosto 2018; la Signora F. è nella sua casa di Parigi. Sono le 9.30 di mattina. Il suo compagno Marian, col quale condivide la vita e la casa da 7 anni, la chiama per sapere se tutto va bene; la aggiorna sul fatto che sta entrando in Italia, col suo camion, per lavoro. 

F. non sta vivendo un momento sereno: suo figlio è morto solo 6 mesi prima, è stato ucciso in un incidente stradale, omicidio volontario. 

La telefonata di Marian la conforta, è il suo contatto con la vita: da qualche tempo infatti, a causa della tragedia che causerebbe un dolore insopportabile a qualsiasi essere umano, F. non sta bene. Marian, che per il figlio di F. era come un padre con il quale stava progettando una gravidanza e un matrimonio, l’aiuta ad affrontare la quotidianità: prima prendendosi un periodo di ferie non retribuite, poi portandola con sé sul camion per permetterle di passare qualche ora lontana dai pensieri, per non lasciarla sola nel baratro in cui sente di precipitare ogni giorno. 

Siamo sempre al 14 di agosto del 2018, è all’incirca mezzogiorno: F. riceve un’altra telefonata, questa volta è del fratello del suo compagno. “L’hai sentito Marian? E’ caduto il Ponte Morandi, a Genova. Lui ci era sopra”.

Pochi istanti per riflettere, per realizzare. Una telefonata al capo di Marian, la certezza del coinvolgimento del suo fidanzato: il Ponte Morandi è crollato, e con lui il suo compagno di vita. F. lo sa, lo ha capito. Ora non resta che partire. 

Il viaggio verso Genova, da Parigi, solo qualche ora dopo. La conferma definitiva che Marian lì sopra il ponte c’era davvero, e che non ha avuto scampo. L’arrivo in Ospedale, lo stato di shock e angoscia acuta in cui precipita F. quando realizza di aver perso anche il suo compagno che si trova attaccato al respiratore ma che è clinicamente morto. 

L’intervista

8 aprile 2019, incontro la Signora F: parliamo. Siamo a Parigi, al Théâtre du Châtelet. F. si avvicina insicura ma sorridente verso di noi. Assieme a lei c’è la Dottoressa Dada Ottonello Dvorak, la psicoterapeuta che la sta sostenendo in questo periodo difficile. 

C. Ciao F., grazie per essere qui. Come stai?

Sto coltivando il mio orto, ho appena piantato i pomodori. Ma anche dei fiori, ecco, guardate le fotografie. Sono molto fiera di questa attività cui dedico molte ore della mia giornata. 

(sorride e ordina soltanto un’acqua naturale, non può bere altro per accompagnare le pastiglie che deve prendere quotidianamente a causa dei problemi fisici che le sono sorti nell’ultimo periodo). 

F., hai voglia di raccontarmi com’è andata quel giorno?

Ho saputo quello che era capitato a Marian al telefono da suo fratello; appena ho avuto la conferma che il mio compagno si trovava esattamente sopra il Ponte Morandi sono partita da Parigi con un amico di Marian per recarmi di persona a Genova. 

Non ricordo molto del viaggio, ero solo molto agitata; quando siamo arrivati lì Marian era attaccato ad un respiratore artificiale. 

C. E poi cos’è successo?

Sono stati momenti terribili, veloci e confusi. Marian era vivo solo artificialmente, quando hanno attestato la morte cerebrale ho dovuto affrontare la questione della donazione degli organi assieme alla famiglia di lui. Non è stato facile anche perché i suoi parenti hanno iniziato a tagliarmi fuori (piange). Avevamo sempre avuto un bel rapporto, ma dopo la morte di Marian hanno iniziato ad essere aggressivi fino a trattarmi da estranea. E’ stato un ulteriore grande dolore per me. Al funerale del mio compagno non mi hanno nemmeno rivolto la parola. 

C. Cosa ricordi della tua esperienza a Genova, col personale medico, gli assistenti? 

Il personale medico è stato da subito molto gentile con me, mi hanno accolta e sostenuta, permettendomi, ad esempio, di stare in stanza con Marian nonostante la baraonda che potete immaginare c’era in quel momento in ospedale e anche se il protocollo diceva il contrario. 

Ho in programma di fare ritorno a Genova per salutare e ringraziare gli infermieri e i dottori che mi sono stati vicini in quel momento difficile. 

Fondamentale è stato il sostegno psicologico, e non solo, di Dada (la psicoterapeuta che si trova lì con noi nel corso della chiacchierata), con la quale da quel momento ho intrapreso un percorso prezioso che dura tuttora. 

Di quei momenti orribili ricordo anche il conforto della vicinanza di Fabio, il consulente di Giesse, al quale voglio bene come a un familiare. 

C. Hai avuto rapporti con Autostrade per l’Italia?

Autostrade per l’Italia si è limitata ad inviare una lettera per le condoglianze a posteriori, ma in quei primi momenti non ha fatto nulla. 

C. Ora come stai F.?

Sto un po’ meglio, ma ci sono delle cose che faccio molta fatica a fare (piange). Fatico a vedere le persone, a mangiare, a dormire, a recarmi al lavoro, a fare le cose in generale. Ho avuto anche degli importanti problemi fisici. 

L’unica cosa capace di alleviare, anche se di poco, il mio dolore è sapere che con gli organi di Marian ci sono due bambini che hanno potuto continuare a vivere. 

(sorride). 

 

La nostra chiacchierata con la Signora F. si ferma qui. Scambiamo ancora due parole con la Dottoressa Ottonello Dvorak che è stata (ed è) fondamentale per il sostegno di F. nell’ultimo periodo e anche nel corso dell’intervista. Dada ringrazia Fabio e Claudio di Giesse perché – cito- “hanno fatto sentire a F. la loro vicinanza umana e sono stati rispettosi e limpidi.” “Scrivilo nell’intervista, Claudia” mi dice. 

La Signora F. è una donna comprensibilmente distrutta. Viene inevitabile riflettere su quanto ad ogni azione corrisponda una conseguenza, e che la manutenzione delle infrastrutture significa, in primis, rispetto per la vita umana. In fondo c’è forse qualcosa di più importante? 

 

Dott.ssa Claudia Rualta

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