L’accertamento dei postumi lievi nell’assicurazione r.c.a. e nella responsabilità medica

L’accertamento dei postumi lievi nell’assicurazione r.c.a. e nella responsabilità medica

L’accertamento dei danni alla persona che siano derivati:

(a) da sinistri stradali;

(b) da colpa medica;

quando abbiano prodotto postumi permanenti in misura non superiore al 9% della complessiva validità dell’individuo, è apparentemente soggetto a regole speciali, introdotte dal d.l. 24 gennaio 2012 n. 1 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”).

Dico “apparentemente” perché, come proverò a spiegare, nonostante il gran polverone che hanno sollevato, queste norme non hanno alcun contenuto precettivo ulteriore rispetto a quello dettato dai princìpi generali.

Il comma 3 ter dell’art. 32 d.l. 1/12 ha modificato il comma 2 dell’art. 139 del codice delle assicurazioni (d. lgs. 7.9.2005 n. 209), aggiungendovi il seguente periodo: “in ogni caso le lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”.

Il comma 3 quater della stessa norma stabilisce invece (senza modificare testualmente il codice delle assicurazioni): il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2006 n. 209 è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.

Queste nome hanno suscitato un vespaio di interpretazioni contrastanti, polemiche e discussioni, talora autenticamente bizantine, quando non del tutto farneticanti.

Vi è stato infatti chi ha voluto ravvisare in esse un inaudito attacco delle “lobbies assicurative” al sacro diritto di vedersi risarcito il danno da colpo di frusta cervicale; e chi all’opposto le ha reputate timidi ed insufficienti tentativi di riportare alla normalità il rachide cervicale degli italiani, talmente fragile e prezioso da meritarsi il titolo di “collo Swarowski”.

Sul piano più strettamente giuridico, possiamo dire in estrema sintesi che le norme sopra ricordate hanno dato vita a tre diverse interpretazioni.

Un primo orientamento ritiene che esse abbiano posto un limite legale ai mezzi con cui provare il danno alla persona, quando abbia prodotto esiti micropermanenti. In questo caso infatti la prova del danno può essere ricavata soltanto da un accertamento strumentale (ad es. radiografia, risonanza magnetica, TAC, ecc.).

Un secondo orientamento ritiene invece che le nuove norme abbiano introdotto una “soglia di risarcibilità”, ovvero una franchigia nel caso di danno alla salute causato da sinistri stradali. In tal caso, infatti, non ogni danno alla persona sarà risarcibile, ma soltanto quello di intensità tale da poter essere strumentalmente accertato.

Un terzo orientamento, infine, ritiene che la novella del 2012 nulla abbia cambiato in merito al contenuto della prova del danno e della sua derivazione causale dal sinistro.

Quest’ultimo orientamento è quello a mio avviso preferibile, e condiviso infatti dalla Corte di cassazione.

Il primo orientamento è manifestamente insostenibile, perché limiterebbe il principio del libero convincimento del giudice, obbligandolo ad escludere dal novero delle prove utilizzabili quelle diverse dalla documentazione clinica.

Il secondo orientamento è assurdo: ipotizzare una “franchigia” in tema di danno alla persona porrebbe seri problemi di legittimità costituzionale. Ed infatti la Corte costituzionale, sia pure obiter dictum, ha affermato che le disposizioni del decreto in esame non attengono «alla consistenza del diritto al risarcimento delle lesioni (…), bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto».

Ciò vuol dire che per la Consulta il “Decreto sviluppo” non ha introdotto alcuna franchigia o soglia di risarcibilità del danno biologico, ma ha soltanto dettato norme più rigorose per quanto riguarda l’accertamento dell’esistenza di postumi micropermanenti.

Norme, peraltro, inutili in un Paese normale: a nessuno verrebbe infatti mai in mente di stabilire per decreto che le distanze tra costruzioni debbono essere non inferiori a tre metri, “misurati in modo strumentale ed obiettivo”; ma avendo detto di ciò in altra sede, mi permetto di rinviare a quella il benevolo lettore.

Il terzo orientamento invece è l’unico consentito dagli strumenti della logica deduttiva e dall’interpretazione sistematica.

Il combinato disposto delle due previsioni sopra trascritte rende infatti evidente che il legislatore abbia voluto ancorare la liquidazione del danno biologico sia temporaneo, sia permanente, in presenza di postumi micropermanenti o senza postumi, ad un rigoroso riscontro obiettivo.

L’ “accertamento clinico strumentale obiettivo” di cui al comma 3 ter, infatti, non può essere nulla di diverso dal “riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”, per due ragioni.

La prima ragione è di ordine testuale, ed è rappresentata dal fatto che nelle due norme il legislatore ha usato dei sinonimi o delle perifrasi per indicare il medesimo concetto. In particolare:

– “accertare obiettivamente” (comma 3 ter) è sinonimo di “riscontrare” (comma 3 quater);

– l’accertamento “clinico strumentale” (comma 3 ter) è sinonimo di “accertamento visivo o strumentale” (comma 3 quater).

La seconda ragione è di ordine sistematico.

Il d.l. 1/12 è stato adottato al dichiarato di scopo di rilanciare l’economia, favorire la concorrenza, incentivare sia i consumi che il risparmio.

In quest’ottica, il contenimento delle truffe assicurative, e massimamente di quelle legate alla sinistrosità stradale, è visto dal legislatore come un mezzo per ridurre i costi degli indennizzi e, di conseguenza, favorire l’abbassamento dei premi (un chiaro indice di questo intento è dato proprio dal successivo art. 33 d.l. 1/12, che ha inasprito le sanzioni per le false attestazioni di invalidità derivanti dai sinistri stradali).

Or bene, se il legislatore vede come un “male” l’erogazione di indennizzi non dovuti per lesioni inesistenti, la finalità delle nuove norme va conseguentemente ravvisata nell’intento di contrastare non solo il fenomeno delle truffe assicurative, ma anche la semplice negligenza colposa nell’accertamento dei microdanni: anche il contrasto a quest’ultima, infatti, è necessario per contenere i costi dei risarcimenti per lesioni minime e consentire risparmi di gestione che dovrebbero tradursi in una riduzione dei premi assicurativi, o comunque in altri benefici per gli assicurati.

Deve, quindi, concludersi che secondo l’interpretazione preferibile il comma 3 ter disciplina il danno che abbia prodotto postumi permanenti, mentre il comma 3 quater è applicabile a qualsiasi pregiudizio alla persona, anche temporaneo; l’uno e l’altro, tuttavia, subordinano la risarcibilità del danno a presupposti identici.

Nemmeno riterrei che si possano trarre conseguenze giuridicamente rilevanti dalla circostanza che nel comma 3 ter si esige per la liquidazione del danno un “accertamento clinico”, e nel comma 3 quater un “riscontro medico legale”.

Io non saprei dire se il comma 3 quater sia stato dettato e voluto, nella caldera dei lavori parlamentari, da deputati e senatori cui stavano a cuore le sorti della professione di medico legale, e ne temevano l’estinzione per il fatto che il comma 3 ter esigeva per l’accertamento del danno alla persona un normale “accertamento clinico”. Forse il comma 3 quater ed il riferimento all’attività del “medico legale” ivi contenuta è scaturito dall’interesse corporativo di perdere incarichi e prebende, o forse no: ma anche nel primo caso, a parte le sconsolate deduzioni che potrebbero trarsene sullo stato della tecnica nomopoietica nel nostro Paese, di un tale zelo non v’era necessità.

Non dimentichiamo, infatti, che l’art. 139 cod. ass. già nel testo previgente stabiliva (e continua a stabilire) che il danno biologico è solo quello “suscettibile di accertamento medico legale”. Pertanto l’introduzione della nuova norma che esige il “riscontro clinico” non avrebbe potuto privare di senso e valore il testo precedente, e non avrebbe potuto trasformare il danno biologico in un pregiudizio accertabile senza l’ausilio dei dettami della medicina legale.

Ove si condivida quanto esposto sin qui, chiediamoci ora: cosa hanno introdotto di nuovo rispetto al passato le previsioni qui in commento? La risposta è agevole: nulla.

Per convincersene basta riflettere che la legge previgente definiva (e continua a definire) “danno biologico” soltanto quello “suscettibile di accertamento medico legale” (così gli artt. 138 e 139 d. lgs. 7.9.2005 n. 209, ma anche l’art. 13 d. lgs. 23.2.2000 n. 38, nonché, in precedenza, l’abrogato art. 5 l. 5.3.2001 n. 57).

“Accertare” deriva etimologicamente dal latino medioevale accertare, deverbativo di certus: esso esprime il concetto di “certificare”, cioè rendere sicuro, riconoscere per vero, verificare.

In tal senso l’usarono, tra gli altri, Dante (“Però ti priego, e tu padre m’accerta/ s’io posso prender tanta grazia”: Paradiso, XXII, 58) o Galileo (“Marte, Giove e Saturno colli loro appressamenti e discostamenti mi accertano di quelli”: Delle macchie solari in Opere, Firenze 1718, vol. II, 99).

“Suscettibile di accertamento medico legale”, pertanto, vuol dire né più, né meno, che il danno biologico per potere essere risarcito deve essere obiettivamente sussistente in corpore, e la sua esistenza deve potersi predicare non sulla base di intuizioni o suggestioni, ma sulla base di una corretta criteriologia medico legale.

Dunque anche prima del d.l. 1/12 il danno biologico era risarcibile solo a condizione che fosse riscontrabile una obiettività medico legale, posto che per la medicina legale non è certo concepibile l’esistenza di danni presunti, figurativi od ipotetici.

Ma se così è, deve concludersi che le nuove norme contenute nell’art. 32 d.l. 1/12 nulla hanno aggiunto e nulla hanno tolto rispetto al passato. Esse non hanno fatto altro che formulare in modo esplicito un principio già necessariamente implicito nel sistema.

L’unico effetto che le nuove norme possono dunque avere prodotto non ha natura giuridica e contenuto precettivo, ma ha natura “psicologica” e contenuto “declamatorio-esortativo”.

Intendo dire che esse non possono valere a null’altro se non a richiamare l’attenzione dei pratici sulla necessità che il danno alla salute sia accertato in modo rigoroso e zelante, senza facilonerie e pressappochismi. Uno scopo, dunque, del tutto estraneo a quelli normali di una norma giuridica, il cui fine dovrebbe essere l’introdurre nell’ordinamento un comando, non certo un’esortazione.

E tuttavia la scelta del legislatore di mettere nero su bianco un richiamo a fare bene il proprio lavoro, rivolto a tutte le persone variamente interessato al “ciclo di produzione” del risarcimento del danno alla persona (in primo luogo medici legali, ma anche avvocati e magistrati), che sarebbe apparsa stupefacente in un Paese normale, non è tale nel nostro.

In molti anni di esperienza giurisdizionale mi è capitato quotidianamente di imbattermi in inaccettabili superficialità nell’accertamento del danno al salute, e soprattutto di quello con esiti micropermanenti.

Procedendo in ordine logico-cronologico, voglio qui ricordare di avere incontrato, ad esempio:

– consulenti medici legali di parte che nelle proprie relazioni hanno negato fatti evidenti od ingigantito postumi risibili;

– avvocati che hanno domandato risarcimenti con cifre a 5 o anche 6 zeri per banali contusioni, ecchimosi, sbucciature;

– consulenti di ufficio che non hanno avuto alcuna remora a concludere per l’esistenza di postumi permanenti sulla base delle sole dichiarazioni della vittima;

– magistrati (non solo onorari) per le cui sentenze la consulenza d’ufficio è sempre “immune da vizi logici e scientifici e da intendersi qui integralmente trascritta”, anche quando conteneva sesquipedali corbellerie.

Le norme introdotte dal d.l. 1/12 non si comprenderebbero se non si avessero presenti tali prassi trascurate ma diffuse; si giustificano invece al cospetto di esse, e costituiscono una pia esortazione e non proseguirle.

Per quanto esposto sin qui, i criteri medico legali e giuridici alla luce dei quali procedere all’accertamento dei danni con esiti micropermanenti causati da sinistri stradali non dovranno mutare per effetto della riforma, rispetto a quelli che si sarebbero dovuti adottare in precedenza. Ovviamente dovranno mutare, e molto, se i criteri adottati prima della riforma erano improntati alla sciatteria di cui si è già detto.

I princìpi sin qui esposti sono stati in buona parte condivisi dalla Corte di cassazione, nell’unico precedente in cui sino ad ora si è occupata delle nuove norme.

Nel caso portato all’esame della Corte, la vittima di un sinistro stradale domandò il risarcimento del danno biologico temporaneo. A sostegno della domanda produsse un referto di pronto soccorso, nel quale si affermava che la vittima presentava contusioni alla spalla sinistra, all’emitorace sinistro ed al rachide cervicale.

Il giudice di merito rigettò la domanda, sul presupposto che “le affezioni asintomatiche di modesta intensità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico riscontrate all’infortunata non erano state dimostrate con le rigorose modalità prescritte ex lege”.

La sentenza di merito è stata però cassata con rinvio dalla S.C., la quale ha fissato i seguenti princìpi:

(a) i commi 3 ter e 3 quater, dell’art. 32 d.l. 1/2012 sono norme non diverse tra loro, che dettano identici precetti;

(b) tutte e due le norme non fanno che ribadire il principio già emerso dal diritto vivente, secondo cui il danno biologico è solo quello suscettibile di accertamento medico legale;

(c) le due norme vanno dunque intese nel senso che l’accertamento del danno non può che avvenire coi criteri medico legali fissati da una secolare tradizione: e dunque l’esame obiettivo (criterio visivo); l’esame clinico; gli esami strumentali;

(d) tali criteri inoltre non sono “non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis, siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)”.

Il senso della decisione è chiaro: l’accertamento dei microdanni causati da sinistri stradali non richiede altra prova che l’applicazione rigorosa dei criteri insegnati dalla medicina legale. Senza franchigie, senza limiti al diritto alla prova, ma anche senza indulgenze a valutazioni medico legali frettolose, quando non compiacenti.

dott. Marco Rossetti

Magistrato, Consigliere della III Sez. Civ. Corte di Cassazione

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