Tutti a processo, termina così l’udienza preliminare per le cinque persone indagate per quel mare di fango che due anni e mezzo fa strappò alla vita la giovane mamma Stefania Signore e i suoi piccoli figli Christian e Niccolò di 7 e 2 anni.
Il gup di Lamezia Terme, Francesco De Nino, ha accolto la richiesta del pubblico ministero Emanuela Costa, e ha rinviato a giudizio le 5 persone coinvolte a vario titolo nel tragico incidente che si verificò la notte del 4 ottobre del 2018 lungo la strada provinciale 113 nel comune di San Pietro a Maida.
Si tratta in particolare di Antonio Condello, imprenditore 51enne titolare del terreno nei pressi del quale avvenne il dramma; Floriano Siniscalco, ingegnere 50enne dirigente del settore Viabilità e Trasporti della Provincia di Catanzaro; Francesco Paone (60 anni) funzionario dell’amministrazione provinciale, Giovanni Antonio Lento (60) e Cesarino Pascuzzo (62) che avevano il compito della vigilanza stradale. Tutti devono rispondere di omicidio stradale.
Per loro il processo avrà inizio il 12 febbraio a Lamezia Terme. Il marito di Stefania e padre di Christian e Niccolò, Angelo Frija, assistito da Gisse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in incidenti stradali mortali e stato rappresentato in questa fase dall’avvocato Antonio Perri. Nel collegio difensivo compaiono gli avvocati Francesco lacopino, Maria Zaffina, Renzo Andricciola, Maurizio Siniscalco, Lucio Canzioniere e Domenico Francesco Murone.
Per la Procura, guidata dal procuratore Salvatore Curcio, l’Alfa Romeo su cui viaggiavano la 30enne e i suoi due figli fu investita da «un’onda anomala» che si sarebbe formata non solo per la violenza e la quantità della pioggia caduta in quelle ore, ma anche a causa della mancata manutenzione di un terreno e dell’assenza di controlli da parte dei tecnici della Provincia di Catanzaro.
Secondo le ipotesi formulate dagli inquirenti, Condello, proprietario di un terreno che si trova a ridosso della Provincia le 113 fra San Pietro a Maida e San Pietro Lametino, avrebbe «omesso di mantenere le ripe del proprio fondo in modo tale di evitare di scaricare detriti e terra», sulla strada provinciale, dove inoltre avrebbe scaricato, «senza regolare concessione», un «notevole quantitativo di acqua meteorica mista a fango e detriti che, proveniente dai terreni soprastanti dopo essersi accumulata nella depressione del terreno, generatasi in corrispondenza delle tre linee parallele di metanodotto, insistenti in detta proprietà, a causa del taglio del terreno operato per la realizzazione delle tre opere citate, e del passaggio di mezzi meccanici di tipo agricolo», avrebbe formato l’ondata killer.
L’ingegnere Siniscalco (dirigente del Settore viabilità e trasporti della Provincia) e il geometra Paone sono indagati perché secondo la Procura non avrebbero provveduto – dopo alcuni interventi di manutenzione straordinaria del 1999 e del 2006 che attestavano l’esistenza di versamenti laterali sulla provinciale e la necessità di regimentare le acque meteoriche che provenivano dai terreni adiacenti – a segnalare agli organi di polizia le violazioni al codice della strada e per aver «omesso di predisporre ulteriori controlli» per accertare se il problema persistesse, come invece fatto «successivamente agli avvenimenti del 4 e 5 ottobre 2018».
Gli agenti di vigilanza stradale Lento e Pascuzzo, infine, sono indagati per «non aver mai segnalato» la situazione all’allora responsabile, ovvero Paone. Subito dopo il verdetto emesso dal gup del tribunale di Lamezia Angelo Frija, marito di Stefania e padre dei due bambini, ha commentato: «Il rinvio a giudizio ottenuto dal pubblico ministero è un primo, fondamentale passo per capire cosa sia realmente successo e di chi siano le responsabilità. Oggi ho un po’ più fiducia nella giustizia italiana, spero di non rimanere deluso e che se qualcuno ha sbagliato, paghi per la morte della mia famiglia».
Articolo della “Gazzetta del sud“