Tetraplegico dopo l’intervento chirurgico a Milano: «Chi ha sbagliato paghi»

Giesse Risarcimento Danni segue risarcimento per caso di malasanità a Milano. 

La difficile situazione in cui sta vivendo la famiglia di Piero Vrenna, il 59enne di Crotone rimasto tetraplegico dopo un intervento chirurgico a Milano, viene riportata sui quotidiani “la Repubblica” e “Il Quotidiano del Sud“.

Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di malasanità, assiste l’uomo e i suoi familiari. Vrenna ha bisogno di assistenza 24 ore su 24 in tutte le attività quotidiane e la situazione è ormai diventata insostenibile.

Tetraplegico da sei anni dopo un intervento: nessun risarcimento

Da sei anni a causa di un’infezione contratta in ospedale durante un intervento si trova su una sedia  rotelle e ha bisogno di essere assistito 24 ore al giorno per mangiare, bere, lavarsi, leggere un libro.

Senza più alcuna possibilità di svolgere il lavoro che faceva prima, contribuendo economicamente alla sua famiglia che oggi pesa unicamente sulle spalle della moglie.

Da quando è stato operato, nel 2016, l’uomo che aveva 53 anni all’epoca, è riuscito ad andare avanti solo grazie all’aiuto di amici e conoscenti, visto che fino a oggi nessuno dei due ospedali con cui è in causa da un anno e mezzo per il danno permanente che gli è stato procurato, gli è mai andato incontro con un aiuto o un acconto.

È il 12 settembre di sei anni fa quando Piero Vrenna, operatore socio-sanitario di Crotone, si sottopone a un intervento chirurgico all’ospedale Humanitas di Rozzano per una cervico brachialgia, un forte dolore che dalla zona cervicale si irradia lungo il braccio.

Intervento che non presenta complicazioni ma nel corso del quale, diranno nella loro consulenza i medici nominati dalla prima sezione civile del tribunale milanese, contrae un’infezione che – non adeguatamente curata all’ospedale calabrese dove verrà poi ricoverato – lo ha reso tetraplegico e invalido civile al 100 per cento.

Vrenna, assistito dalla Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di malasanità, dopo l’operazione è stato infatti ricoverato nell’ospedale calabrese.

Qui non solo – dirà lo stesso accertamento tecnico – vi fu un iniziale ritardo nell’identificazione dell’infezione, ma anche una prematura sospensione della terapia antibiotica.

Ricostruiscono i medici nominati Marta Mandelli e Pasquale Ferrante, che due giorni dopo l’operazione, visto il suo normale decorso, Vrenna viene dimesso per fare ritorno a casa.

Durante il viaggio in treno, però, non si sente bene e, una volta arrivato a destinazione, si presenta direttamente al Pronto soccorso dell’ospedale locale dove viene ricoverato.

Qui i sanitari lo cureranno per un’infezione che, si legge nella consulenza, «trova genesi causale nell’intervento che fu eseguito presso l’ospedale Humanitas in paziente peraltro sottoposto a inadeguata terapia antibiotica».

Nella consulenza si fa riferimento al ritardo «nell’avvio di una terapia farmacologica almeno inizialmente inadeguata». Terapia che fu in seguito modificata, ma poi sospesa prima del tempo. Una decisione che risultò catastrofica.

Al contrario, sottolineano ancora i consulenti, una «adeguata terapia, avrebbe con elevatissime probabilità bloccato il progredire» dell’infezione, evitando «la gravissima complicanza neurologica verificatasi a causa del danno midollare».

«Quella sanità che mio marito amava tanto, non solo l’ha paralizzato dalla testa ai piedi ma, cosa ancora peggiore, l’ha abbandonato» ha detto la moglie dell’uomo, oggi tetraplegico.

In una nota Humanitas ha espresso «vicinanza» a Vrenna ricordando «che nelle opportune sedi giudiziarie è stato chiarito l’accaduto anche rispetto al ruolo dell’altra struttura ospedaliera coinvolta. Proprio l’assenza di tale struttura ha reso impossibile qualsiasi tentativo di conciliazione».

Articolo de “la Repubblica

Tetraplegico per errore medico

La denuncia della moglie di un ex operatore socio-sanitario. «Chi ha sbagliato, paghi»

«Sei anni fa mio marito rimase tetraplegico a causa di un errore medico. Questo comportò uno stravolgimento della sua e della nostra vita, con la necessità di assisterlo 24 ore su 24, dai semplici movimenti posturali, all’igiene, all’alimentazione. Il silenzio dell’ospedale milanese che l’operò, rendendolo invalido al 100%, ci lascia senza parole. Pretendiamo che chi ha sbagliato, paghi».

La denuncia è di Debora Innaro, moglie di di Piero Vrenna, 59enne ex operatore socio-sanitario di Crotone. Ricoverato il 12 settembre 2016 all’ospedale Humanitas di Rozzano per un delicato intervento chirurgico e dimesso due giorni dopo, l’uomo, purtroppo, non riuscì a tornare a casa.

Una volta arrivato a Crotone, venne ricoverato immediatamente all’ospedale San Giovanni di Dio per quella che si sarebbe poi rivelata un’infezione con formazione ascessuale cervicale in sede di ferita legata all’intervento.

Da allora si trascina stancamente il calvario della famiglia Vrenna e soprattutto di Piero, costretto a fare i conti con una sofferenza fisica e interiore mai vissuta prima.

Quindi, la decisione di rivolgersi a Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di malasanità, che nel luglio 2021, dopo numerosi tentativi (falliti) di trovare un accordo in sede stragiudiziale, nominò come legale fiduciario l’avvocato Impelluso e chiese un accertamento tecnico preventivo in modo da chiarire fin da subito quanto accaduto.

Vrenna ha intentato causa contro l’ospedale di Rozzano e l’Asp di Crotone. Il processo si sta celebrando dinanzi al Tribunale civile di Milano.

«Se ci soffermiamo sulla perizia – sottolineano Giesse Risarcimento Danni e il referente della famiglia Anselmo Vaccaro – la responsabilità della struttura sanitaria risulta pacifica, tant’è che non sono state depositate osservazioni. Tuttavia nessuno ha avanzato proposte risarcitorie e questo ci ha costretto, a metà del 2021, ad agire in giudizio con una causa civile».

Le conclusioni dell’accertamento tecnico preventivo a cui sono giunti i medici nominati Marta Mandelli e Pasquale Ferrante non lascerebbero spazio ad alcun dubbio: «L’infezione che in seguito ebbe a manifestarsi, trova genesi causale nell’intervento che fu eseguito presso l’Ospedale Humanitas in paziente peraltro sottoposto a inadeguata profilassi antibiotica».

Il risultato, per Piero, fu catastrofico: si ritrovò tetraplegico, con assoluta e definitiva impossibilità a camminare e con dipendenza totale da caregivers per lo svolgimento delle attività quotidiane.

Una condizione, scrivono i ctu, «rimasta stabile nel tempo e non suscettibile di miglioramenti visto il lungo tempo trascorso, che trova quantificazione in termini di pregiudizio dell’integrità psico-fisica del soggetto nella misura del 90%».

Ora i familiari pretendono risposte: «Siamo stanchi – continua la moglie – Mio marito faceva l’operatore socio-sanitario e ha sempre dato cuore e anima ai suoi pazienti. Quella sanità che amava tanto non solo l’ha paralizzato dalla testa ai piedi ma, cosa ancora peggiore, l’ha abbandonato».

«Se non fosse stato per l’aiuto economico di amici e conoscenti, che in questi anni ci sono stati vicini – conclude la moglie–non ce l’avremmo fatta: Piero era l’unico che lavorava e io dovevo e devo occuparmi anche dei nostri tre figli, di cui uno ancora adolescente.

È incredibile ma, soprattutto, inaccettabile che nessuno dell’Azienda sanitaria abbia mai fatto un passo per venirci incontro, per darci un aiuto, un acconto, viste le loro evidenti e incontestate responsabilità per quello che è successo a mio marito: né lui né tanto meno noi meritiamo un simile atteggiamento, dopo le difficoltà ed il dolore immenso che continuano a provocarci».

Articolo de “Il Quotidiano del Sud

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