Il Tribunale di Trapani, giudice Giancarlo Caruso, ha condannato ieri a due anni di reclusione, pena sospesa oltre al pagamento delle spese legali, S.G., 83enne, legale rappresentante della ditta Santoro Marmi S.r.l., di Custonaci.
Dopo 5 anni si conclude il processo per la morte di Francesco Cardella, operaio 48enne di Custonaci, morto nel 2013 schiacciato da una lastra di marmo. I familiari della vittima sono stati assistiti da «Giesse Risarcimento Danni» e dall’avvocato Giuseppina Messina del foro di Catania.
Cardella addetto alla gru semovente, l’8 ottobre 2013 alle 20.50 è chiamato da un collega addetto alla monolama per rimuovere la crosta di un blocco di marmo appena riquadrato. L’operaio, stava imbracando la crosta, quando è investito alla gamba da un pezzo di marmo staccatosi da quest’ultima.
Il collega solleva il masso, Cardella è condotto all’ospedale di Trapani. Ricoverato in rianimazione con prognosi riservata, muore due giorni dopo. Il tipo di rischio a causa del quale è morto Cardella, ossia «il rischio da investimento del lavoratore per frantumarsi delle parti laterali della crosta durante il suo allontanamento dal carrello della tagliatrice monolama», non era contemplato dal documento di valutazione dei rischi della Santoro Marmi S.r.l. e per questo non venne individuata né adottata da parte della ditta nessuna misura di sicurezza specifica a proposito.
«In questi 5 anni ho partecipato ad ogni singola udienza – dice commossa Franca, la moglie della vittima – anche se mi è costato molto, ma l’ho fatto per Francesco, perché la sua vicenda non venisse dimenticata, perché non ci si passasse sopra con troppa facilità.
Spero che questa piccola vittoria possa risuonare nelle coscienze di molti datori di lavoro, questi incidenti non devono capitare perché non si adottano le corrette misure di sicurezza».
«Il giudice ha stabilito una provvisionale in favore della moglie della vittima – dice Ivan Greco, responsabile Giesse Catania – Stiamo lavorando per ottenere anche in sede civile il giusto risarcimento».
Articolo del “Giornale di Sicilia“