Era il febbraio del 2012 quando, in un appartamento di Trento sud, era stato trovato il corpo senza vita di un 37enne con un cappio al collo. Una morte che era stata la conclusione di un gioco erotico.
Ora, a distanza di dieci anni, la moglie dell’uomo e i due figli si sono visti riconoscere un risarcimento di circa 40mila euro derivante da diverse polizze contro gli infortuni che l’uomo aveva sottoscritto.
Polizze che sono state valutate da due tribunali diversi, il primo è stato quello di Milano, il secondo quello di Trento, con lo stesso risultato. Ossia che quella morte è stata la conseguenza di un infortunio. La moglie dell’uomo si è affidata ad una realtà di Trento, la Giesse Risarcimento Danni e spiega perché.
«Ormai non ci speravo più – racconta – Ricordo che, inizialmente, altri mi avevano detto di vergognarmi a chiedere che mi venisse pagato l’indennizzo quando invece, come i tribunali hanno stabilito, spettava di diritto a me e ai miei figli. Mi hanno trattata come una pezza da piedi».
È la stessa Giesse che ricostruisce l’accaduto in un comunicato. «L’uomo è nel suo appartamento a Trento e si sta intrattenendo con l’amante. Lega i polsi alla donna, rendendole impossibile qualsiasi movimento, si inginocchia su un pouf, afferra la corda che pende da uno dei morsetti attaccati al soffitto e si impicca.
Lo scopo non è quello di uccidersi, ovviamente, ma di praticare quello che viene definito “breath control” (controllo del respiro) per rendere l’orgasmo più intenso. Lo stato di ipossia, tuttavia, è improvviso e acuto e il 37enne non riesce a interrompere in tempo la pratica».
A seguito dell’evento morte, la moglie e i figli avrebbero dovuto ricevere due indennizzi. Uno da 22mila euro, per il contratto di assicurazione contro gli infortuni mortali che l’uomo aveva sottoscritto anni prima. L’altro da 20mila euro, per altre due polizze rischi stipulato con un”altra compagnia.
Due richieste di indennizzo rimaste inevase. Da qui, l’avvio delle due cause. Il punto era la definizione di infortunio. Per la famiglia quello che era successo nell’appartamento di Trento sud era un infortunio mortale. Per le assicurazioni non si trattava di “infortunio” a termini di polizza.
E alla fine i giudici hanno dato ragione alla moglie e ai figli dell’uomo. Si legge, infatti, nella sentenza che la morte del 37enne «non è stato frutto di una scelta suicidaria, ma diretta conseguenza di un grave infortunio e pertanto rientrante nella copertura assicurativa».
Infine: «Preme evidenziare – scrive il giudice – che il decesso dell’uomo costituisce ai sensi della polizza un “infortunio mortale”, il quale dà diritto al pagamento dell’indennizzo laddove si consideri che lo stesso non è stato causato da una scelta intenzionale della vittima, non è derivato da malattia e la cui causa è individuabile in un fattore esterno, ovvero ab extrinseco, e non ad esempio da vecchiaia o patologia».
Da qui la liquidazione del premio assicurativo in favore della moglie e dei due figli. Un risarcimento che è arrivato dieci anni dopo la morte dell’uomo.
Articolo de “L’Adige“