Il piccolo, nato prematuro, aveva subito l’amputazione di un braccio dopo un’errata infusione di piastrine. Sotto accusa la decisione dei periti.
Il piccino nasce alla ventitreesima settimana, fortemente prematuro, all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Dopo un mese di cure e assistenza, durante un’infusione di piastrine nel sangue, qualcosa non va per il meglio.
L’avambraccio destro è in necrosi e l’unica soluzione è amputarlo. Iniziano così il dramma e la battaglia legale di una famiglia sanremese. E se i consulenti tecnici del giudice civile da una parte evidenziano un errore del personale dell’ospedale, dall’altra aggiungono un ulteriore peso dei due genitori.
Prima riconoscono al bimbo un’invalidità del 50 percento per la perdita dell’arto. Poi ricordano che il piccolo è affetto da un serio deficit cognitivo dovuto alla nascita prematura.
Così quella percentuale scende al 10, perché il 50 percento viene calcolato non sulle facoltà psico-motorie di un neonato in perfetto stato di salute, ma su quelle di uno già in gravi difficoltà.
«Una discriminazione fatta sulla base della valutazione di una condizione psichica, che ci lascia increduli e basiti», dicono i genitori attraverso la società Giesse risarcimento danni, alla quale si sono affidati per l’assistenza legale. La vicenda risale al 2013.
Le osservazioni dei consulenti medico legali contestate dai genitori sono avvenute davanti al giudice civile Domenico Pellegrin in sede di accertamento tecnico preventivo. Un tentativo di conciliazione che però non è andato a buon fine.
Ora la famiglia sta avviando la causa legale vera e propria. Anche perché dalla percentuale di invalidità dipenderà il risarcimento. Che servirà per soddisfare le tante esigenze mediche del piccolo. La cui invalidità, sempre secondo i consulenti, solo contando il deficit cognitivo è dell’80 percento.
Dal Gaslini spiegano che «abbiamo dimostrato in tutte le sedi come non ci siano responsabilità da parte dei nostri operatori circa quanto accaduto al minore, che è stato purtroppo furto di una complicanza non prevista e non prevedibile subentrata nell’iter clinico.
Esprimiamo assoluta vicinanza alla famiglia. Ma ciò che è stabilito dai consulenti del giudice ha portato ad un minimo riconoscimento di un danno aggiuntivo del maggior danno predominante».
Articolo de “Il Secolo XIX“