Risarcimento da 800mila euro per caso di malasanità a Verona

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Giesse Risarcimento Danni ottiene risarcimento per caso di malasanità a Verona. 

La notizia del maxi risarcimento ottenuto dalla famiglia di un 55enne, morto per un’infezione contratta all’ospedale di Verona e causata da un’errata terapia antibiotica, viene riportata sul quotidiano “L’Arena”.

Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di malasanità, è riuscito ad ottenere un risarcimento di 800mila euro grazie alla tenacia dei propri professionisti.

Paziente morto per cure errate. Risarcimento da 800mila euro

Sottoposto a sette interventi. Secondo i periti dei familiari l’abuso di antibiotici indebolì il sistema immunitario dell’uomo

Undici mesi di agonia, 7 diversi interventi chirurgici e 9 ricoveri, ucciso a 55 anni da un batterio che lo ha colpito nel reparto di cardiochirurgia dell’ospedale di Borgo Trento.

Con i sanitari che, non rispettando probabilmente appieno le misure di prevenzione e contrasto delle infezioni ospedaliere, somministrarono una terapia antibiotica per un periodo eccessivo, rendendo ancor più vulnerabile allo sviluppo di infezioni post-operatorie, la vittima.

È il quadro emerso dopo la morte di un cinquantacinquenne veronese, per la quale il giudice Fabio D’Amore del tribunale civile di Verona ha condannato l’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona a un risarcimento di oltre 800mila euro.

I familiari della vittima, si sono rivolti a Giesse risarcimento danni, un gruppo specializzato in casi di malasanità con sedi in tutta Italia. Tutto ebbe inizio il 14 agosto del 2011 quando l’uomo accusò un forte dolore allo sterno, seguito da una sincope.

Ricoverato al pronto soccorso dell’ospedale “Sacro Cuore” di Negrar e sottoposto a Tac toracica, risultò subito chiaro un quadro di dissecazione aortica, una lacerazione dello strato interno dell’aorta. Trasferito d’urgenza all’ospedale di Borgo Trento, venne operato per più di 8 ore, con la sostituzione dell’aorta.

Un intervento eseguito alla perfezione, grazie anche alla corretta nonché rapida diagnosi preventiva. Come ricostruito inizialmente dai periti nominati da Giesse e successivamente confermato anche dai consulenti tecnici nominati dal giudice D’Amore, i sanitari invece di somministrare la terapia antibiotica per non oltre 48 ore, come le linee guida raccomandano in questi casi, la prolungarono per 10 giorni.

«Consci di non aver rispettato appieno le misure di prevenzione e contrasto delle infezioni ospedaliere, potrebbero aver volutamente scelto di prolungare la copertura antibiotica nel tentativo di controbilanciare il rischio infettivo aumentato causato dalle verosimili carenze delineate», hanno sottolineato nella consulenza tecnica i professori Massimo Montisci e Saverio Parisi, ordinari di Medicina legale e Malattie infettive dell’Università di Padova, consulenti tecnici del Tribunale di Verona.

«Così facendo, hanno però corso il rischio contrario, cioè quello di aumentare vulnerabilità e suscettibilità del paziente allo sviluppo di infezioni, favorendo la selezione di microrganismi resistenti agli antibiotici». I primi sintomi dell’infezione comparvero circa due settimane dopo l’intervento, dapprima alle vie urinarie, poi con presenza di febbre, dolore toracico, aumento del versamento pericardico.

Gli esami colturali attestarono prontamente la presenza dell’infezione. Per il paziente iniziò un terribile calvario, con il susseguirsi di ben 9 ricoveri in varie strutture ospedaliere, nelle quali si dovette via via sottoporre a 7 diversi interventi chirurgici.

Nel corso di uno dei primi interventi, la vena dell’aorta apparve già ampiamente colonizzata da processo infettivo, e perforata, con il distacco in più punti. Il corpo sempre più debilitato e vulnerabile venne attaccato col passare delle settimane anche da altri batteri, sempre più resistenti a ogni ciclo di antibiotici.

Gli episodi febbrili si fecero sempre più importanti, la sofferenza aumentò di giorno in giorno, fino al 18 luglio del 2012, quando l’uomo, giunto allo stremo dopo ormai 11 mesi tra continui ricoveri e operazioni, si spense.

«I sanitari non inquadrarono correttamente l’infezione quando questa iniziava a dare i primi segni di sé», hanno concluso i professori Montisci e Parisi nella propria perizia, richiesta dal Tribunale e ritenuta idonea a fondare la decisione in ordine alla responsabilità della Aoui di Verona.

Dimisero il paziente già in stato settico, senza nessuna doverosa terapia antibiotica. La storia clinica del paziente è stata fortemente ed infaustamente condizionata dall’infezione acquisita durante il primo ricovero».

Per i periti del tribunale, a monte di tutto vi è stata una “mancanza di revisione critica della epidemiologia locale del reparto, degli isolamenti di germi resistenti, nelle valutazioni del Gio (il Gruppo per le infezioni ospedaliere) che nel periodo antecedente ai fatti sembra essersi riunito una volta in dieci mesi, senza peraltro trattare il punto di interesse in questo procedimento».

Da qui la decisione del giudice D’Amore, che accogliendo le istanze e le richieste presentate dai legali fiduciari di Giesse, ha condannato l’Azienda ospedaliera a versare più di 800mila euro ai familiari della vittima.

Articolo de “L’Arena

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