Il 17 giugno 2019, alle 3 di notte, Matteo Colombi Manzi guida ubriaco verso casa. L’appuntato Emanuele Anzini, figlio di carabiniere, dal 1998 in servizio alla compagnia di Zogno , è sulla sua strada.
Con un collega ha organizzato un posto di controllo a Terno d’Isola. Quando l’Audi A3 di Colombi compare in via Padre Albisetti, intima l’Alt. Ed è travolto. Fine della sua storia ed inizio, nell’Arma, di quella di sua figlia Sara, che un attimo dopo la morte del papà ha deciso di arruolarsi. Oggi ha 20 anni.
Il caso del carabiniere Anzini si è chiuso, ieri, davanti alla Corte d’Appello di Brescia con una sentenza che ha ridotto di non poco i 9 anni di pena stabiliti in primo grado il 14 febbraio 2020 dal gup Massimiliano Magliacani.
I giudici hanno accolto l’istanza di patteggiamento concordato portata avanti dall’avvocato Federico Riva, che assiste Colombi Manzi, e sono scesi a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni. Hanno calcolato 5 anni e 4 mesi per l’omicidio stradale e 10 mesi e 20 giorni per l’omissione di soccorso e la fuga.
Tenuto conto dei 3 mesi e 22 giorni di pre sofferto, tra carcere e arresti domiciliari, questo consentirà all’imputato di mantenere la pena sotto i 6 anni ed accedere all’affidamento in prova speciale ai servizi sociali.
La legge lo prevede per chi ha problemi di dipendenza da droghe o alcol e decide di seguire un programma terapeutico con il Sert. Colombi Manzi, 36 anni, di Sotto il Monte, ex cuoco ora con lavori saltuari in diverse catene di supermercati, lo ha fatto subito dopo la tragedia.
«La notizia della riduzione di pena per noi non è altro che un nuovo dolore che si aggiunge a tutto quello che stiamo vivendo già da due anni» commenta la sorella Catia Anzini, che con la mamma Eleonora Pendenza e la compagna Susana Pagnotta si sono affidate al gruppo Giesse per il risarcimento dei danni.
«Considerando che sta scontando la pena a casa sua questo ulteriore regalo di tre anni non mi sembra affatto giusto. Mio fratello ha trascorso 22 anni della sua vita a servire lo Stato, ma per la legge italiana, evidentemente, la sua vita conta poco».
Originario di Sulmona, 41 anni, Anzini era entrato nell’Arma il 18 giugno 1997, nel giorno del suo ventesimo compleanno. Stessa data, 22 anni dopo, del suo funerale. In Val Brembana aveva prestato servizio alla stazione di Piazza Brembana ed era dal 2006 al Radiomobile di Zogno.
«Per noi familiari – è l’amaro sfogo della sorella – erano già pochi i 9 anni stabiliti in primo grado, anche se nessuna pena potrà mai restituirci Lele. Ma adesso è come se ci stessero uccidendo nuovamente perché su quella strada, quella notte di cadavere ce n’era uno solo, ma di persone uccise ce ne sono state molte di più».
Catia Anzini lo aveva già detto, per tentare di spiegare un dolore incurabile. Sul fronte della difesa, l’avvocato Riva preferisce il silenzio. Ha sempre mantenuto toni bassi, ben consapevole delle responsabilità di Colombi Manzi, anche se convinto che il tragico finale non sia stato solo frutto della guida alterata dall’alcol.
L’ex cuoco si era messo al voltante con un tasso cinque volte superiore a quello consentito dalla legge. Ma, secondo quanto ricostruito dal legale, anche attraverso i filmati delle telecamere di terno, i lampeggianti dell’auto dei carabinieri erano spenti e Anzini si era forse sporto eccessivamente verso il centro della carreggiata.
L’Audi A3 proveniva in direzione opposta rispetto al punto dove si erano fermati i militari. L’impatto con l’auto era avvenuto sul lato del passeggero, segno, sempre per la difesa, di un tentativo, seppure tardivo, di scongiurare l’investimento da parte dell’imputato.
Dopo il colpo, Colombi Manzi non si era fermato. Aveva tirato dritto fino al garage di casa, salvo cambiare idea dopo pochi minuti. «Sono stato preso dal panico» si era giustificato. Una volta ripercorsa la strada fino al luogo dell’incidente, aveva trovato la prima pattuglia andata in soccorso.
Dopo l’alcol test, la polizia stradale lo aveva arrestato e portato in carcere. Il pm Raffaele Latorraca gli aveva contestato l’omicidio volontario, poi riqualificato in omicidio stradale. Oltre ai familiari, dopo il primo grado, sono state risarcite l’associazione Familiari vittime della strada e l’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale.
Non l’Arma, che non si era costituita parte civile. La Presidenza del consiglio dei ministri, su pare dell’avvocatura di Stato, non aveva concesso l’autorizzazione.
Articolo del “Corriere della Sera“